giovedì 9 ottobre 2014

Considerazioni sinodali (2): o sulle situazioni "imperfette".





Avrei voluto iniziare questo post andando direttamente al sodo. Tuttavia, a giudicare da alcune reazioni giuntemi per diverse vie alle considerazioni fatte sull’intenzione di “aggiornare il linguaggio”, non posso esimermi dal fare un piccolo cappello introduttivo. Non si può non notare come in effetti sia attuale e reale il pericolo paventato da più parti nei giorni scorsi, ossiaquello di ritrovarsi un sinodo “reale” diverso da quello “virtuale”, ossia dei media. Un esempio, è proprio il comunicato informativo che abbiamo cominciato a discutere ieri mattina e che speriamo di concludere ora.

Per comprendere meglio quanto sto cercando di esprimere, sarà bene anzitutto sapere che vi è stato nel pomeriggio di martedì, presumibilmente durante la terza congregazione generale, un botta e risposta deciso tra il Card. Muller, prefetto della Congregazione della Fede, e Mons. Bruno Forte, segretario generale del Sinodo. Questa notizia è stata passata sotto silenzio dalla maggioranza delle testate giornalistiche, le quali ovviamente hanno ripetuto quanto letto nel comunicato vaticano, il quale a sua volta riporta come "istanza del sinodo" quanto affermato dal Segretario Generale, in opposizione al prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, come risulterebbe dalla notizia qui pubblicata.
Ma torniamo a vedere cosa il comunicato vaticano dice in realtà, messaggio che, ricordiamo, è stato ripreso e rilanciato ampliamente da quasi tutte le testate giornalistiche e telegiornali (qui).
Mi limito a commentare due frasi, quelle che ai media sembrano essere piaciute di più, anche se ci sarebbe da dire moltissimo, per esempio sull’uso capzioso che si fa del concetto di “misericordia”, ma questo è stato detto da altri e molto meglio di quanto possa fare io.
Scrive il comunicato:

è stato sottolineato come anche situazioni imperfette debbano essere considerate con rispetto: ad esempio, unioni di fatto in cui si conviva con fedeltà ed amore, presentano elementi di santificazione e di verità.

In pratica qui si pretende di applicare alle famiglie il concetto di gradualità nella perfezione. Tale concetto è stato introdotto dal Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, in ambito ecclesiologico, per spiegare la presenza di elementi di santificazione nelle chiese e nelle comunità ecclesiali non cattoliche. Ma mentre un tale discorso è applicabile alle chiese o comunità ecclesiali, esso è totalmente fuorviante se applicato alle persone, perché parte da premesse diverse nei due casi e, nel secondo dei due, le premesse sono sbagliate e contrarie alla verità, detto in una parola oggi andata fuori moda: eretiche. Mi accingo a dare ragione di tale affermazione che ai più potrebbe sembrare temeraria e per farlo mi servirò di autorevoli documenti della Chiesa, che non possono essere messi in discussione.
Scrive il Concilio di Trento:

In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per l’unità della Chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto Concilio Tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità della Chiesa e per la salvezza delle anime, […] intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia, autore e perfezionatore della nostra fede (Cf. Eb 12,2), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso e che la Chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.

Questa è una traduzione (trovata su internet) dell’originale latino del proemio , ma tutti ne possono apprezzare la chiarezza e il tono autorevole che non ammette discussioni.
Ora sarebbe interessante leggere tutto, ma sarebbe quantomeno lungo e per alcuni forse ostico, per questo mi permetto fare una breve sintesi della dottrina di sempre, espressione della Fede cattolica di cui il Concilio di Trento non è stato che una manifestazione in circa 2000 anni di storia. Per chi fosse interessato tuttavia ad approfondire, qui si può scaricare una traduzione italiana dei testi del Concilio di Trento, dei quali ho messo una piccola selezione alla fine di questo post.


Premessa: cos’è la Grazia santificante (che rende “santa” un’anima).
(Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1861, 1863, 1999-2001)
La dottrina cattolica dice che quel che rende “santa” un’anima è la Grazia di Dio, meritataci da Cristo e che nessuno può “pretendere” in quanto puro e libero regalo di Dio. La Grazia è un dono gratuito che ciascuno deve accogliere, conservare e far fruttificare in sé. Dio la infonde nell’anima con il battesimo e si oppone direttamente al peccato: cancella il peccato originale e rimane nell’anima come una “vita soprannaturale” dell’anima stessa, in effetti, la Grazia è la vita divina che Dio crea al di fuori di sé e che dona a un’anima “deificandola”, facendola vivere della sua stessa vita. È “soprannaturale” in senso strettissimo, poiché supera la natura assolutamente: se Dio non la infondesse nell’anima nessuna creatura potrebbe mai averla naturalmente, semplicemente perché in natura non esiste. La Grazia santificante, tuttavia, pur essendo “stabile” non è “permanente”, perché un’anima può perderla e annichilirla con un peccato grave. Tuttavia attraverso il sacramento della penitenza può riacquistarla e così “ritornare in grazia”. In effetti, i sacramenti, sono proprio i mezzi ordinari attraverso cui Dio infonde la Grazia nelle anime. Il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica che «i Sacramenti sono segni sensibili ed efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina» (n.224).


Conclusione e analisi.
Ora forti di queste premesse, alla luce della Fede della Chiesa, possiamo ritornare alla frase del comunicato che intendiamo analizzare:

è stato sottolineato come anche situazioni imperfette debbano essere considerate con rispetto: ad esempio, unioni di fatto in cui si conviva con fedeltà ed amore, presentano elementi di santificazione e di verità

Ora, a sostegno di tale affermazione, come si è detto si cerca di adattare il discorso di gradualità nella perfezione con cui si spiega la presenza di “elementi di santificazione” in altre chiese e comunità ecclesiali. Come già detto, il paragone non regge perché parte da premesse diverse. Infatti, tra gli elementi di santificazione presenti veritativamente in altre chiese e comunità ecclesiali ci sono soprattutto i sacramenti: oggettivamente presenti tutti nelle chiese dell’Ortodossia e oggettivamente presenti alcuni (battesimo e matrimonio) nelle comunità ecclesiali figlie ad ogni titolo della riforma luterana.
Per quanto riguarda invece le persone o le famiglie, l’uso del termine “elementi di santificazione” è improprio, perché di santificazione in tale contesto si può parlare solo relativamente alla Grazia santificante. Affermare che, nonostante la fedeltà e l’amore umano, in una situazione oggettiva di concubinaggio NON VI SIA la presenza della Grazia santificante, non è mancare di rispetto ad una coppia o a coloro che la compongono, ma soltanto esprimere un dato di fatto incontrovertibile. È come dire che il mare è pieno d’acqua, o meglio ancora, dire ad un uomo che non ha le ali dunque non può volare: sarebbe forse una mancanza di rispetto? Si tratta di riconoscere un dato di fatto ed affermare il contrario equivarrebbe a dire qualcosa di contrario alla realtà oggettiva e alla verità rivelata, oltre che a negare la dottrina che la Chiesa ha sempre creduto e insegnato; oppure, ancora peggio, equivale a “naturalizzare” la Grazia equiparandola all’amore umano e alla fedeltà, negandone in pratica il carattere soprannaturale e facendola “assorbire” e "procedere" dalla natura. Questo è l’errore di Rahner con i suoi “cristiani anonimi” e, ancor prima di lui, l’eresia di Pelagio e dei suoi seguaci ed emuli di ogni tempo. 
A quanto sembra lo stesso errore possiamo riscontrarlo in Kasper & comp., infatti, essi considerano elemento di santificazione l'amore umano. Affermano che "dove c'è l'amore c'è la grazia" e pertanto il peccato del divorzio è redento dall'amore e non dalla grazia: ma questo, se è vero come è vero che la grazia è soprannaturale e in alcuna maniera può provenire da ciò che è umano, non altro che l'ennesima forma di pelagianismo e naturalismo.


Il sacramento di coloro che sono in cammino.
Come detto vi sarebbe moltissimo ancora di dire, ma per non stuccare eccessivamente la pazienza dei lettori e per riuscire a finire questo post mi limito a commentare quest’altra ormai famosa affermazione rimbalzata sui media di mezzo mondo.

Quanto all’accostamento all’Eucaristia da parte dei divorziati risposati, è stato ribadito che tale sacramento non è il sacramento dei perfetti, ma di coloro che sono in cammino.

Sembra che proprio su questa affermazione si siano scontrati Mons. Forte e il Card. Muller.
Io mi limiterò a lasciar parlare la Chiesa, ancora una volta attraverso il Concilio di Trento (chiamatemi pure sentimentale) che è stato particolarmente chiaro proprio perché in quegli anni sorgevano errori che mettevano in pericolo l’integrità della Fede, errori che, a quanto sembra, tornano sempre. Ma chi volesse approfondire può andare a vedere anche il Catechismo della Chiesa Cattolica che offre una panoramica completa (nn. 1322-1419).
Scrive il Concilio nella Sessione XIII dedicata interamente proprio al Santissimo Sacramento dell’Eucaristia:

La santissima Eucaristia ha questo di comune con gli altri sacramenti: che è simbolo di una cosa sacra e forma visibile della grazia invisibile.
Tuttavia in essa vi è questo di eccellente e di singolare: che gli altri sacramenti hanno il potere di santificare solo quando uno li riceve, mentre nell’Eucaristia vi è l’autore della santità già prima dell’uso. (Capitolo III)

Non vi è, dunque, alcun dubbio che tutti i fedeli cristiani secondo l’uso sempre ritenuto nella Chiesa cattolica, debbano rendere a questo santissimo sacramento nella loro venerazione il culto di latria, dovuto al vero Dio.
Non è, infatti, meno degno di adorazione, per il fatto che sia stato istituito da Cristo Signore per essere ricevuto. Crediamo, infatti, che è presente in esso lo stesso Dio, di cui l’eterno Padre, introducendolo nel mondo, dice: E lo adorino tutti i suoi angeli (Eb 1, 6); che i magi, prostrandosi, adorarono (Cfr. Mt 2, 11), che la scrittura attesta essere stato adorato in Galilea dagli apostoli (Cfr. Mt 28, 17; Lc 24, 52). (Capitolo V)

Se non è lecito ad alcuno partecipare a qualsiasi sacra funzione, se non santamente, certo, quanto più il cristiano percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole, piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del Signore. […]
Chi, quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto: L’uomo esamini se stesso (1Cor 11, 28). E la consuetudine della Chiesa dichiara che quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucaristia senza aver premesso la confessione sacramentale.
Il santo Sinodo stabilisce che questa norma si debba sempre osservare da tutti i cristiani […] (Capitolo VII)

Alla luce di quanto sopra, è quanto meno riduttivo e fuorviante affermare che l’Eucaristia non è il sacramento dei perfetti, perché si sta parlando del tesoro più prezioso che l’uomo abbia sulla terra, dono di misericordia e amore, Sacramento santo e divino. l’Eucaristia non è e mai potrà essere considerata un mezzo, perché è Gesù in corpo, anima, sangue e divinità: fonte e culmine di tutta la vita cristiana (LG 11).
Interessante concludere questo post con un ultima citazione del Concilio di Trento a riguardo di coloro che fanno uso di questo sacramento e, soprattutto, in cui possiamo vedere lo zelo di amore e carità squisitamente e realmente pastorale che animava i Padri conciliari.

Quanto al retto e sapiente uso, i nostri padri distinsero tre modi di ricevere questo santo sacramento. Dissero, infatti, che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente, come i peccatori. Altri solo spiritualmente, quelli, cioè che desiderando di mangiare quel pane celeste, loro proposto, con fede viva, che agisce per mezzo dell’amore (Gal 5, 6), ne sentono il frutto e l’utilità. Gli altri lo ricevono sacramentalmente e spiritualmente insieme, e sono quelli che si esaminano e si preparano talmente prima, da avvicinarsi a questa divina mensa vestiti della veste nuziale (Cfr. Mt 22. 11-14).
Finalmente questo santo Sinodo con affetto paterno esorta, prega e supplica, per la misericordia del nostro Dio (Lc 1, 78), che tutti e singoli i cristiani convengano una buona volta e siano concordi in questo segno di unità, in questo legame di amore, in questo simbolo di concordia; e che, memori di tanta maestà e di così meraviglioso amore di Gesù Cristo, nostro signore, che sacrificò la sua vita diletta come prezzo della nostra salvezza, e ci diede la sua carne da mangiare (Cfr. Gv 6, 48-59), credano e venerino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con tale costanza e fermezza di fede, con tale devozione dell’anima, con tale pietà ed ossequio, da poter ricevere frequentemente quel pane supersostanziale (Cfr. Mt 6, 11), ed esso sia davvero per essi vita dell’anima e perpetua sanità della mente, cosicché, rafforzati dal suo vigore, da questo triste pellegrinaggio possano giungere alla patria celeste, dove potranno mangiare, senza alcun velo, quello stesso pane degli angeli (Cfr. Sal 77, 25), che ora mangiano sotto sacre specie. (Capitolo VIII)

2 commenti:

  1. Mi scusi. Posso sapere lei chi è e a quale titolo scrive?

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    1. Sono anzitutto un battezzato nella Chiesa cattolica e scrivo perché il patrimonio della Fede non è proprietà privata di nessuno e perché finché abbiamo voce è bene farla sentire soprattutto in questi tempi confusi che stiamo vivendo. Scrivo perché io per primo ho bisogno di chiarezza.

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